Farmaco Nafamostat mesilate contro il Covid-19: è uno studio che è partito da Padova in anteprima mondiale per testare il più potente antivirale.
Lo studio è coordinato dal Prof. Gian Paolo Rossi, Direttore della Unità Operativa di Medicina d’Urgenza e della Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza e Urgenza, e dalla Prof. Teresa Seccia.
Il Nafamostat mesilato è utilizzato da anni in Giappone come farmaco generico anticoagulante, ma che ha mostrato un ottimo profilo di sicurezza in tutti gli studi finora condotti.
Il prof. Gian Paolo Rossi spiega: “Il farmaco, che è stato donato da Kyoso Mirai Pharma, rappresenta il più potente inibitore della proteasi TMPRSS2, che, interagendo con la proteina Spike, è responsabile dell’entrata del virus nelle cellule e della sua diffusione nell’organismo. TMPRSS2, oltre a permettere al virus di penetrare nelle cellule, attiva la coagulazione che è responsabile di trombosi e embolie, frequenti complicanze di COVID-19. Sin dall’inizio della pandemia COVID-19 questa duplice azione di TMPRSS2 nel favorire sia l’infezione che la coagulazione ha attirato l’attenzione dei Ricercatori, che l’hanno identificata come bersaglio ottimale per combattere COVID-19 e le sue terribili complicanze. Lo studio sarà condotto a Padova su 256 pazienti affetti da SARS-CoV-2 ospedalizzati ma non così gravi da essere ricoverati in terapia intensiva.“
La professoressa Teresa Seccia dichiara: “Se le attese saranno confermate il farmaco potrà tenere molti pazienti COVID-19 fuori dalle terapie intensive e salvare molte vite, e potrebbe risultare efficace anche contro le diverse varianti del COVID-19, ma questo lo definiremo meglio nel corso del nostro studio”.
Lo studio è stato approvato dal Comitato Tecnico Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, dal Comitato Etico Nazionale dell’Ospedale Spallanzani di Roma e dall’AIFA, sarà condotto in collaborazione con le Unità COVID-19 dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria.
Come agisce il Nafamostat?
Renato Bernardini, Professore ordinario di farmacologia all’Università di Catania e membro del Consiglio Superiore di Sanità, ha spiegato come il Nafamostat inibisce potentemente l’enzima TMPRSS2 evitando sia le trombosi che la replicazione virale, dovuta alla ben nota proteina Spike. “Ci troviamo di fronte ad un altro caso di farmaco che potenzialmente potrebbe essere utile: di fatto, si tratta di una piccola molecola conosciuta per la sua attività di tipo anticoagulante ed antitrombotica. Partendo da questo presupposto, i soliti studi di modellazione molecolare che sono stati eseguiti intensamente nei mesi scorsi durante il pieno della pandemia, hanno dimostrato che questa azione anticoagulante avviene tramite l’inibizione di alcuni enzimi della famiglia delle serina chinasi (famiglia di enzimi, ndr) ed uno di questi in particolare, TMPRSS2, non solo ha un effetto pro-trombotico ma ha anche un effetto a favore della replicazione del virus, presenta queste due caratteristiche insieme”.
In quali casi va usato il Nafamostat?
Il vantaggio di questo farmaco è che si trova già in commercio e che viene usato da anni sui pazienti. Il prof. Bernardini spiega: “Se suddividiamo la fase della malattia in lieve o con pochi sintomi, fase intermedia dove interviene l’interessamento polmonare con tosse e polmonite e fase severa dove la malattia ha esiti tromboembolici polmonari (e non solo), la sua evoluzione alla fase intermedia (o moderata) è il momento in cui si potrebbe utilizzare il Nafamostat per tentare di scongiurare una situazione di trombosi ed embolia grave dei polmoni e di altri organi”.
Gli studi clinici, che saranno condotti su 256 pazienti affetti da Sars-Cov-2 ed ospedalizzati ma non così gravi da essere ricoverati in terapia intensiva, dovranno ancora confermare il potenziale antivirale del farmaco che sarebbe un traguardo importante perché “la diminuita replicazione virale si potrebbe correlare ad una diminuita gravità del quadro clinico”. La somministrazione avverebbe per via endovenosa: “se consideriamo, poi, che è indicato nelle fasi moderate/severe della malattia, va somministrato esclusivamente in ospedale”, conclude il Prof. Bernardini.
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