Covid-19 il rischio delle forme gravi dipende da 9 regioni del DNA che rendono le persone più suscettibili a reazioni estreme al virus. Sulla rivista Nature è stato descritto lo studio genetico effettuato su scala mondiale, si tratta della più grande ricerca realizzata su Covid-19. Si è basata sui dati di quasi 50.000 persone positive al virus e 2 milioni di soggetti sani di controllo.
I risultati nascono dal ‘Covid-19 Host Genomics Initiative’, una rete globale che comprende più di 3.000 ricercatori di 25 Paesi creata nel marzo 2020 dall’italiano Andrea Ganna, ricercatore all’Istituto di medicina molecolare della Finlandia (Fimm) e al Broad Insitute di Cambridge, insieme al collega Mark Daly. Anche l’Italia ha contribuito con i dati di 8000 pazienti e con la partecipazione di numerosi enti, come l‘Università di Siena, l’Irccs Humanitas e il Politecnico di Milano.
“Formare questa collaborazione internazionale è stato sorprendentemente facile: è iniziato tutto con un tweet“, racconta Ganna all’ANSA. “Avevamo un network esistente da cui siamo partiti e che si è espanso in maniera molto veloce. Quello che oggi pubblichiamo su Nature è solo la punta dell’iceberg di quanto abbiamo prodotto in questo anno: fin dall’inizio abbiamo deciso di rendere pubblici i nostri risultati ogni tre mesi per metterli a disposizione della comunità scientifica il più rapidamente possibile”.
Quattro regioni del DNA aumentano il rischio di contrarre Covid-19 e nove aumentano la probabilità dei sintomi gravi
Il ricercatore sottolinea come sia importante studiare anche il genoma umano, infatti “si è parlato molto del genoma del virus, ma quello dell’ospite umano è altrettanto importante, perché può influire sulla probabilità di contrarre l’infezione e di sviluppare complicanze gravi. In particolare abbiamo trovato quattro regioni del Dna che aumentano il rischio di contrarre l’infezione e nove che invece aumentano la probabilità di sviluppare forme gravi di malattia. Alcune hanno a che fare con la risposta immunitaria, ed erano già note per il loro coinvolgimento in malattie autoimmuni e infiammatorie, mentre altre riguardano la biologia del polmone e hanno a che fare con malattie come la fibrosi e il tumore“.
Grazie ai dati condivisi a livello globale si è potuto individuare anche il fattore di rischio specifico delle diverse popolazioni, come quelle di origine asiatica.
“Un importante passo avanti, considerato che finora la maggior parte degli studi genetici è stata condotta su persone di origine caucasica”, sottolinea Ganna.
“Le nostre ricerche stanno ancora andando avanti per includere un numero sempre maggiore di pazienti ed etnie: dai 50.000 pazienti positivi dello studio di Nature siamo già saliti a 125.000, e le regioni del Dna sotto osservazione sono salite da 13 a 23, anche se questi ultimi dati non sono ancora stati sottoposti a peer review per la pubblicazione. Il nostro obiettivo è produrre risultati che possano aiutare a individuare target da colpire con lo sviluppo di nuovi farmaci o il riposizionamento di quelli già esistenti. Creare questo livello di collaborazione internazionale – conclude l’esperto – ci permetterà in futuro di farci trovare più pronti e preparati nell’affrontare nuove malattie”.
(Fonte Ansa)